di Valter Vecellio
Letture parallele, imprescindibili, per cercare di capire quello che è accaduto in questi ultimi anni: come, in che modo si è condotta, in nome anche di una sedicente antimafia, una lotta a chi la l’antimafia la praticava sul serio. Una storia raccontata in commissione parlamentare antimafia dall’avvocato Fabio Trizzino, che rappresenta i tre figli di Paolo Borsellino, Fiammetta, Lucia, Manfredi (le audizioni saranno dal prossimo numero pubblicate su Proposta Radicale) e in un paio di libri dal generale Mario Mori.
Mori è il fondatore dei ROS il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, cui si deve tra l’altro la cattura di Totò Riina; il colonnello Giuseppe De Donno per anni ha lavorato con il pool antimafia di Palermo. Entrambi hanno patito un contrappasso: per lunghi anni, con la complicità di uno stuolo di giornalisti compiacenti, si sono visti accusare di ogni tipo di connivenza e complicità con la Cosa Nostra. Colpevoli, certo: d’aver fatto il loro dovere. Ne sono alla fine usciti, ma a indicibile prezzo, sotto forma di defatiganti processi e letterali diffamazioni. Non hanno subito il carcere come è accaduto a tanti, prima di vedersi riconosciuto che il “fatto non sussiste”; ma danni enormi, irrisarcibili. Pochissimi, al loro fianco; tra quei pochissimi il Partito Radicale. Non per un particolare fiuto o dote: basta leggere i documenti senza prevenzione; seguire la successione dei fatti così come sono presentati; ascoltare con mente sgombra, seguire le udienze dei processi: là dove difesa e pubblici ministeri si confrontano, scoprono le loro carte. Da questo punto di vista, il poter conoscere ed essere nella condizione di formarsi l’opinione da contrapporre al pregiudizio, alla malafede, all’interesse, è uno degli innumerevoli servizi forniti da “Radio Radicale”, cui non si finirà mai di dire grazie.
Finalmente liberi dall’oppressione di processi che sono evaporati come neve al sole, Mori e De Donno hanno scritto libri che meritano d’essere attentamente meditati. Il primo M.M. Nome in codice unico, di Mario Mori. L’altro La verità sul dossier mafia-appalti, a doppia firma, Mori-De Donno.
È la lunga, complicata, complessa storia di uomini delle istituzioni che altri uomini, anch’essi delle istituzioni, hanno tentato di infangare. Alcuni semplicemente imbecilli: si sono prestati a un grande gioco di cui non hanno compreso la dimensione; altri hanno perseguito con pervicacia interessi che si cominciano a intravedere, comprendere. Questi due libri sono però un buon punto di partenza anche per chi questi argomenti li segue in maniera episodica, superficiale. Ne resterà sconvolto, ne proverà grande inquietudine. Le vicende raccontate sono, senza tema di esagerazione, terrificanti.
Stimati e ritenuti affidabili da Giovanni Falcone e da Borsellino, ecco che Mori e i suoi collaboratori sono accusati di aver preso parte a una “trattativa” con la Cosa Nostra, per dissuaderla dal proseguire con la sua politica delle stragi. Un castello accusatorio che ha impiegato quindici anni prima di crollare, e comunque c’è ancora chi insiste.
Sono trascorsi ormai trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio: storie ancora monche, ci sono molte pagine da scrivere. Era stato lungimirante Leonardo Sciascia con quel suo articolo sul Corriere della Sera, “I professionisti dell’antimafia”, che tante volgari, infondate, polemiche gli ha procurato. Anche a Sciascia molti devono chiedere scusa.
“Da un lato c’era il nemico”, scrivono Mori e De Donno, “dall’altro quelli che senza essere oppositori dichiarati, omettevano, ritardavano, silenziavano”. Volete sapere chi? Nei due libri è facile risalire alle loro identità, il ruolo giocato, perché. C’è tutto, e anche di più di quello che si può credere di immaginare. Vicende sordide, meschine, interessi giganteschi che non dovevano essere intaccati. A differenza delle storie raccontate da un immaginifico romanziere americano come Mario Puzo, queste storie sono vere. Purtroppo, vere. E non è detto siano finite, anche se molti di quei protagonisti non ci sono più e tanto tempo è trascorso.
M.M. Nome in codice unico
Mario Mori e Fabio Ghiberti – La Nave di Teseo
La verità sul dossier mafia-appalti
Mario Mori e Giuseppe De Donno – Piemme
di Va.Ve.
Le piccole, raffinate, deliziose Edizioni Emiliano degli Orfini pubblica una collanina di “librini” uno più intriganti dell’altro: Diario umano di Giovanni Amelotti; Questa birberia del leggere e dello scrivere di Giulio Braccini; Buona fortuna, amigo tropicale, di Wallace Stevens; Vederci chiaro e Romancero della Montagna, di Chris Marker… Chi di più desidera saperne, si rivolga alla romana “Libreria dei libri necessari, in via degli Zingari 22/a, rione Monti, 00184 Roma (telefono: 066786385). Qui basta dire che in questa collanina pubblica Angiolo Bandinelli, Sette donne. Ed è, al tempo stesso, l’Angiolo che molti di noi hanno conosciuto e frequentato; che convive con l’Angiolo sorprendente e inedito, nonostante molti di noi l’abbiano conosciuto e frequentato.
Scelta naturale che Aldo Bandinelli (che di Angiolo è il figlio) e Michelle Muller abbiano scelto queste eleganti e curatissime edizioni per pubblicare un libretto di aspetto esile, ma robusto: esige attenzione e riletture. Angiolo era particolarmente sensibile al rapporto con lo stampatore, lo studiava a fondo prima di concedergli fiducia e amicizia; con particolare acribia era attento alla grafica, le rilegature, i disegni, la qualità della carta, gli inchiostri perfino.
Il titolo del “librino” (il n.7 della collana) è idi vago sapore Flaian-Longanesiano. Chissà cosa obietterebbe lui, orgogliosamente toscano di Chianciano: cosa spartire con un abruzzese di Pescara (Flaiano) e con un romagnolo di Bagnacavallo (Longanesi)? Presto detto: Flaiano, nella sua vulcanica attività ad onta della ostentata pigrizia, ha anche trovato il tempo di essere per anni capo-redattore de Il Mondo di Mario Pannunzio; e Longanesi è stato il padre-maestro di due formidabili direttori entrambi lucchesi: Pannunzio appunto, e Arrigo Benedetti; alla sua scuola si sono fatti le ossa e tanto dell’essenziale gli devono. Il poco più che trentenne Bandinelli, come ricorda Lorenzo Strik-Lievers nella nota introduttiva, pubblica “una cinquantina di articoli” sul Mondo, settimanale di prestigio e per palati fini. Per accedere a quel tempio laico occorreva avere più di un pregio e di una dote. Non ha lasciato solo un enorme vuoto dal punto di vista umano, Bandinelli.
Questo “borghese e le sue paranoie” è un brogliaccio, una raccolta non disordinata di appunti e spunti; riflessioni che si allargano a concentrici cerchi, sembrano perdersi man mano che si procede, ma infine tutto si tiene: un ibridarsi di passione politica e culturale, una curiosità inesausta, una non comune capacità di meravigliarsi e – non sembri un paradosso, tantomeno un ossimoro – un romanesco cinismo mescolato a tenerezza e compassione: la vera cristiana “pietas” che è dote del laico. Radicale in servizio permanente effettivo.
Si tratta, informa Lorenzo, di “scritti segreti, “mai letti da nessuno…appunti sempre tenuti per sé solo, nascosti in una cartellina. Molto gli importavano, però. Nell’ultima fase faticosa e dolorosa della sua vita più volte aveva tenuto a raccomandare al figlio di non lasciarli disperdere. Raccogliendo questo messaggio, Aldo, insieme a Michelle, ha scelto di pubblicare questo testo a un anno dalla scomparsa di Angiolo”.
Credo che abbiamo scelto il modo migliore per ricordarlo e ricordarcelo. Grazie, davvero.
Il borghese e le sue paranoie
Angiolo Bandinelli – Edizioni Emiliano degli Orfini